DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXV SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI
STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2015
Università di Verona
GLI IMPERATORI SEVERI E I POPOLI DELL’IMPERO ROMANO
La constitutio Antoniniana, come si legge
nel papiro di Giessen, è stata promulgata perché fossero moltissimi i cittadini
romani a pregare gli dei e ringraziarli per avere salvato l’imperatore dalla congiura,
quella che lui sosteneva essere stata ordita da suo fratello Geta, il quale era
stato recentemente ammazzato. Il provvedimento stranamente non suscitò
dibattiti - a quanto ne sappiamo - e gli autori antichi lo passano sotto
silenzio, a parte una menzione per nulla lusinghiera di Cassio Dione[1]. Una fra le
ragioni di questo inatteso silenzio è da ricercare nel fatto che i grandi
cambiamenti nei diritti dei popoli erano già stati fatti da Settimio Severo, e
Caracalla estese ulteriormente e sancì con una costituzione imperiale quanto
già era in parte avvenuto e stava avvenendo. La constitutio Antoniniana segna uno spartiacque nella storia del
diritto di cittadinanza romana, ma le sue basi erano già poste dal fondatore
della dinastia severiana.
Settimio Severo
aveva creato molti nuovi municipi e colonie, specialmente in Africa ed aveva
voluto che le popolazioni si organizzassero come città, dotate di un Consiglio
di Decurioni. Settimio aveva voluto, parallelamente, esautorare i governatori
di province, concedendo loro poche truppe e frazionando le province troppo
grandi. Oltre a ciò, l’Italia, sotto Settimio, perse il suo primato nei
confronti delle province. Questo processo di valorizzazione delle città implicò
enormi conseguenze dal punto di vista culturale, perché le città, acquisendo
dignità, poterono valorizzare le loro tradizioni culturali, i loro culti e la
loro letteratura. Fu così che sotto i Severi si moltiplicarono le manifestazioni
delle varie culture locali e delle varie componenti dell’impero. Anche lo
stesso Cristianesimo acquisì consistenza dal punto di vista archeologico ed
epigrafico proprio sotto i Severi.
Nel grande crogiolo
della Romanità le tradizioni dei populi,
cioè delle città, trovavano il modo di esprimersi e di farsi conoscere. Non si
trattò di una repressione delle culture locali, ma, al contrario, di una grande
opportunità che fu data loro di esprimersi e di avere eventualmente pari
dignità rispetto ad altri populi e
culture più famosi.
Severo intraprese
una politica di municipalizzazione di tale portata da costituire una solida
base su cui la constitutio Antoniniana
potè fondare la sua riforma e portare a compimento il processo iniziato dal
fondatore della dinastia. Esattamente come aveva fatto Vespasiano, soprattutto
in Iberia, e come sempre avevano fatto, in genere, i Romani, Severo intendeva
avere a che fare con dei cittadini, possibilmente romani, e non con tribù di peregrini (barbaroi in greco), villaggi o agglomerati urbani privi di
strutture costituzionali di tipo cittadino. Il caso più clamoroso fu quello di
Alessandria d’Egitto, dove Severo soggiornò nel 199 e nel 200 d.C., e alla
città diede un Senato e un ordinamento degno di una città, che essa non aveva mai
avuto prima[2]. Qualcosa di
simile forse avvenne in Giudea Eleutheropolis e Diospolis, che divennero città
intorno al 199 e cominciarono ad emettere moneta[3]. Molti municipi e
colonie furono creati da Severo, fra i quali basterà ricordare Carrhae, Nisibis,
Singara, Resaena, Palmyra, Sebaste (in Samaria)[4]. L’area che
maggiormente fu favorita dalla politica di municipalizzazione severiana fu
l’Africa romana[5]. Ad esempio,
Thugga, Thignica e Thibursicum Bure divennero municipi, e Cartagine fu elevata
al rango di colonia.
Un’iscrizione da
Forum Pinzi, in Bulgaria[6], prova come in
questo periodo una comunità di villaggio avesse al suo interno dei cittadini,
certamente romani, di Augusta Traiana, i quali costituivano l’élite del Forum,
con una dinamica sociale che prefigurava quella della Latinitas, in cui i magistrati e, tendenzialmente, i decurioni
costituivano la classe dirigente ed erano cittadini romani.
Sia Vespasiano che
Severo avevano motivazioni economiche fiscali per promuovere le costituzioni
civiche, e le avrà anche Caracalla. In comunità di tipo tribale era, ed è
difficile stabilire il censo, avere dei catasti e razionalizzare così la
percezione delle imposte. Severo rese i Senati municipali responsabili
dell’assolvimento dei doveri fiscali[7]. Caracalla
mantenne le tassazioni tipiche dei provinciali (specialmente le tasse
fondiarie) e chiese loro anche le lievi tasse che pagavano i cittadini romani[8].
Severo doveva il
potere imperiale alle sue truppe e per questo egli fece grandi concessioni ai
soldati, specialmente concedendo loro un aumento di stipendio e la possibilità
di sposarsi[9]. In questo modo
anche i soldati divennero dei veri cittadini, anche nel senso di persone che
vivono in città, dato che molti di loro abbandonarono la vita nelle canabae ed ebbero le loro domus, e fu così che sorsero quartieri
per i soldati in non poche città, come nel caso di Bosra, Dura Europos o
Eburacum.
Con questo, il
processo di municipalizzazione dell’impero romano, iniziata con la lex Iulia del 90 a.C., professata da Cesare
ed Augusto, con la volontà di dedurre molte colonie, e da Vespasiano, che creò
molti municipi di diritto latino in Iberia, fu completato da Severo e da
Caracalla e lentamente l’impero stava diventando, da tutti i punti di vista,
una compagine di cives, con
istituzioni locali e un punto di riferimento comune, costituito dal modello di
civiltà fornito da Roma stessa e dalle sue istituzioni, sovraordinate alle
istituzioni locali delle varie città.
La
caratteristica maggiore e specifica della municipalizzazione sotto i Severi è
l’integrazione del mondo semitico nel quadro della romanità. Al tempo della
Guerra Sociale, le leggi che posero fine alla contesa con gli Italici, la lex Iulia e la Plautia Papiria, permisero di integrare nella civitas Romana, oltre alle comunità dei vari popoli italici, anche
le città greche dell’Italia, anche se non tutte accettarono di buon grado il
nuovo diritto di cittadinanza[10]. Augusto creò un
impero bilingue, latino e greco[11], e volle essere, egli
stesso, greco e ateniese fin nel più intimo dei segreti del popolo amico,
ricevendo l’iniziazione ai misteri eleusini[12]. In colonie romane
come Corinto, Antiochia di Pisidia o Cesarea di Cappadocia si poteva parlare
latino o greco e venerare gli dei locali come se si trattasse (e si trattava)
di dei romani[13]. A parte poche enclaves dove si parlava (anche) latino,
come nelle colonie di Berytus o di Heliopolis, i semiti rimasero per secoli dei
provinciali di serie B. Ci furono imperatori filelleni, come Nerone e Adriano,
ma nessuno filosemita, e i vecchi giudizi negativi, che risalivano alle guerre
Puniche per i Romani e alle guerre Persiane per i Greci, continuavano a
sussistere, come si può capire leggendo i romanzi greci dei primi due secoli
dell’epoca imperiale o il XXIII discorso di Dione Crisostomo.
La
Epitome de Caesaribus[14] ricorda che Severo parlava meglio il
punico del latino, e in effetti nella sua città natale, Leptis Magna, il punico
era ancora la lingua più diffusa[15], mentre sua moglie
Giulia Domna era nata e cresciuta a Emesa, città fondata dagli Arabi, e dunque
era una principessa di cultura semitica. Tiro e la sua antica colonia di
Cartagine divennero coloniae iuris
Italici sotto Severo e Tiro divenne anche la capitale della provincia di
Syria-Phoenice, da Severo stesso creata dopo la vittoria su Nigro. Dal tempo di
Eliogabalo la città di Tiro cominciò a emettere monete celebrative per
ricordare Didone e la fondazione di Cartagine da parte di Tiro, e l’alfabeto
fenicio accompagnò qualche emissione monetale tiria, mentre un autore
contemporaneo come Bardesane fondava la tradizione letteraria del siriaco, il
dialetto aramaico di Edessa.
La
passione per Alessandro il Macedone da parte di Caracalla non arrestò il
processo innescato da Severo, che fu inarrestabile. Forse sarebbe stato
difficile per Costantino dare un posto preminente ad una religione di origine
giudaica come il Cristianesimo se Settimio Severo e Caracalla non avessero
creato le premesse per poter considerare le culture dei Semiti come parte della
romanità.
[Un evento culturale, in
quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi
valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa
ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati
valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale
di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia
delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ
DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]
[1] Cass.Dio LXXVIII.9.4-5; cfr. Ulp., Dig.1.5.17.
[2] Hist.Aug., Severus
17:
1 In itinere Palaestinis plurima iura
fundavit. Iudaeos fieri sub gravi poena vetuit. Idem etiam de Christianis
sanxit. 2 Deinde Alexandrinis ius
buleutarum dedit, qui sine publico consilio ita ut sub regibus ante vivebant uno
iudice contenti, quem Caesar dedisset.
[3] A.R. Birley, Septimius
Severus. The African Emperor, New York 2002, 135.
[4] Birley, Septimius Severus, cit.,132.
[5] T. Kotula, Les curies municipales en Afrique romaine,
Wroclaw 1968; J. Gascou, La politique municipale de Rome en Afrique
du Nord, in ANRW 2.10.2, 1982,
136–320.
[6] IGR I, 766 =SIG3 880.
[7] Cf. Ulpianus, Dig.
L.4.3.10; Arcadius, Dig. L.4.18.26. I
doveri dei Senati municipali sono fissati dai giuristi severiani Ulpiano, Papiniano,
Paolo, Modestino e Callistrato in Dig.
L.5-6.
[8] Cass.Dio LXXVIII.9.4-5: «c’erano i doni che (Caracalla)
domandava ai cittadini ricchi e alle varie comunità, e le tasse, sia quelle
nuove che aveva promulgato sia la tassa del 10 per cento che aveva istituito al
posto di quella del 5 per cento, sulle emancipazioni di schiavi, i lasciti
testamentari e tutte le cessioni; infatti aveva abolito il diritto di
successione e l’esenzione fiscale che erano stati concessi in simili casi a
coloro che erano strettamente imparentati con il defunto. Questa era la ragione
per cui fece cittadini romani tutti quelli che vivevano nell’impero romano; a
parole egli li onorava, ma nei fatti egli intendeva accrescere le sue rendite
in tal modo, visto che gli stranieri non erano tenuti a pagare la gran parte di
tali tasse».
[9] Herodian.
III.8.4-5: «Severo … elargì ai soldati un abbondante donativo e conferì loro
molti privilegi che prima non avevano. Infatti per primo accrebbe il loro
stipendio, permise inoltre che portassero l’anello d’oro e che contraessero
matrimoni legittimi».
[10] Cic., Pro Balbo
8.21.
[11] Suet., Aug.
98: Augusto «distribuì … oltre vari piccoli doni, toghe e mantelli greci, a
condizione che
i Romani adottassero il costume e la lingua dei Greci e questi facessero
viceversa».
[12] Suet., Aug.
93: «ricevuta
l'iniziazione ad Atene, quando in seguito a Roma, davanti al suo tribunale si
trattò di una questione relativa al privilegio dei sacerdoti della Cerere
ateniese e si cominciò a svelare alcuni segreti, egli congedò il consiglio dei
giudici e tutti gli assistenti e da solo seguì il dibattito»; sulla sua iniziazione a Eleusi cfr. anche Cass.Dio
LI.4.1; Liv. 9.10.
[13] Sulla questione: N.
Belayche, LVNA/MÊN ASKAENOS. Un
dieu romain à Antioche en Pisidie, in Ritual Dynamics and Religious
change in the Roman Empire (Proceedings of the Eighth Workshop of the
International Network Impact of Empire), a cura di O. Hekster, S.
Schmidt-Hofner e Chr. Witschel, (Impact of Empire 9),
Leiden-Boston 2009, 327-348.
[14] Ps. Aur. Vict., Epit.
de Caes. 20: Latinis litteris sufficienter instructus, Graecis
sermonibus eruditus, Punica eloquentia promptior.
[15] Birley, Septimius Severus, cit., 23-36.